26 giugno 1982

Bruno Caccia (Cuneo, 16 novembre 1917 – Torino, 26 giugno 1983) è stato un magistrato italiano, vittima della ‘Ndrangheta.

Iniziò la sua carriera in magistratura nel 1941 nel Palazzo di giustizia torinese. Nel capoluogo piemontese rimase sino al 1964 ricoprendo la carica di Sostituto Procuratore, per poi passare ad Aosta come Procuratore della Repubblica. Nel 1967 Caccia ritornò nelle aule torinesi con l’incarico di sostituto Procuratore della Repubblica. Nominato nel 1980 Procuratore della Repubblica di Torino, si occupò di indagare sulle violenze ed i pestaggi che all’epoca puntualmente si verificavano in occasione di ogni sciopero. Come ricorda l’allora suo collega Marcello Maddalena: “Fu, nel settore, il primo segno di presenza dello Stato dopo anni di non indolore assenza”. Successivamente, avviò delle indagini sui terroristi delle Brigate Rosse e sui traffici della ‘Ndrangheta in Piemonte, indagini che furono così incisive da condannarlo a morte.

Il 26 giugno 1983, Bruno Caccia si recò fuori città e tornò a Torino soltanto nella sera.

Essendo una domenica, decise di lasciare a riposo la propria scorta, decisione che facilitò il compito ai sicari ‘ndranghetisti. Verso le 23,30, mentre portava da solo a passeggio il proprio cane, Bruno Caccia venne affiancato da una macchina con due uomini a bordo. Questi, senza scendere dall’auto, spararono 14 colpi e, per essere certi della morte del magistrato, lo finirono con 3 colpi di grazia.

Le indaginiSui mandanti dell’omicidio, subito le indagini presero la via delle Brigate Rosse: erano gli anni di piombo e per di più le indagini di Bruno Caccia riguardavano in presa diretta molti brigatisti.

Il giorno seguente, le Brigate Rosse rivendicarono l’omicidio, ma presto si scoprì che la rivendicazione risultava essere falsa. Inoltre nessuno dei brigatisti in carcere rivelò che fosse mai stato pianificato l’omicidio del magistrato cuneese.

Le indagini puntarono allora l’attenzione sui neofascisti del NAR, ma anche questa pista si rivelò ben presto infondata.

L’imbeccata giusta arrivò da un mafioso in galera, Francesco Miano, boss della cosca catanese che si era insediata a Torino.

Grazie all’intermediazione dei servizi segreti, Miano decise di collaborare per risolvere il caso e raccolse le confidenze dell’ndranghetista Domenico Belfiore, uno dei capi dell’ndrangheta a Torino e anch’egli in galera. Belfiore ammise che era stata l’ndrangheta ad uccidere Bruno Caccia e il motivo principale fu che “con il procuratore Caccia non ci si poteva parlare”, come disse lo stesso Belfiore. In aggiunta, va detto che l’ndrangheta ha da sempre controllato, in Piemonte, molti ristoranti, imprese edili, bar e addirittura era arrivata a mettere le mani sul bar del Palazzo di Giustizia dove Bruno Caccia lavorava. Le indagini del magistrato cuneese si rivelarono troppo incisive e troppo dannose per la sopravvivenza dell’ndrangheta in Piemonte, tanto da spingere i Belfiore a ordinare l’uccisione del magistrato.

Come mandante dell’omicidio, nel 1993 Domenico Belfiore venne condannato all’ergastolo.

La memoria di Bruno Caccia, al pari di quella di Antonino Scopelliti, è stata largamente e vergognosamente abbandonata, specialmente nella terra dove egli nacque e morì tragicamente.

In pochi infatti ricordano tutt’oggi il suo sacrificio e questo a causa della poca sensibilità che il nord ha riservato al tema della mafia.

Nonostante di recente la magistratura di Torino abbia avviato delle indagini su presunte infiltrazioni ‘ndranghetiste in diverse amministrazioni pubbliche, la lotta all’ndrangheta in Piemonte da parte dei cittadini è ancora lontana dal suo nascere.

A Bruno Caccia sono stati intitolati il Palazzo di Giustizia di Torino “Bruno Caccia” nonché un cascinale a San Sebastiano da Po(TO), Cascina Bruno e Carla Caccia, quest’ultimo sequestrato proprio alla famiglia Belfiore, più precisamente a Salvatore Belfiore, fratello di Domenico, grazie alla legge 109/96. Cascina Caccia viene tuttora gestita dall’associazione Libera, associazione che si occupa di tutto ciò che viene recuperato dalla lotta alle mafie.

FONTE: Wikipedia