16 settembre 1970

Mauro De Mauro (Foggia, 6 settembre 1921 – Palermo, 16 settembre 1970)

è stato un giornalista italiano, rapito dalla mafia e mai più ritrovato. Era il fratello del linguista e politico Tullio.

Delle tante ipotesi che si sono formulate sulle ragioni del crimine, si è supposto che la sua sparizione potesse doversi alle sue inchieste sull’omicidio del presidente dell’Eni Mattei, una trama che si è intrecciata con tanti altri affaire italiani, come il golpe Borghese.

Il giornalismo

Trasferitosi a Palermo con la famiglia dopo la seconda guerra mondiale, lavorò presso giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e poi a L’Ora, rivelandosi un ottimo cronista. Nel 1962 aveva seguito la morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei e nel settembre del 1970 si stava nuovamente occupando del caso, in seguito all’incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi per il suo film Il caso Mattei, che sarebbe in seguito uscito nel 1972.

De Mauro aveva pubblicato, sempre su L’Ora, il 23 ed il 24 gennaio 1962 il verbale di polizia, risalente al 1937 e caduto nel dimenticatoio, in cui il medico siciliano Melchiorre Allegra, tenente colonnello medico del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale, affiliato alla Mafia nel 1916 e pentito mafioso dal 1933, elencava tutta la struttura del vertice mafioso, gli aderenti, le regole, l’affiliazione, l’organigramma della società malavitosa.

Tommaso Buscetta, davanti ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quindici anni dopo la morte del giornalista, ebbe ad affermare che:

“… De Mauro era un cadavere che camminava. Cosa Nostra era stata costretta a ‘perdonare’ il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per quello scoop. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa”

Il rapimento

Il giornalista da qualche tempo era stato trasferito dalla redazione “Cronaca” a quella dello “Sport” de L’Ora, quando venne rapito la sera del 16 settembre del 1970, mentre rientrava nella sua abitazione di Palermo. La mattina successiva erano previste le nozze della figlia Franca.

De Mauro fu visto davanti alla sua casa mentre confabulava con tre persone. Si allontanò con la sua auto presumibilmente con esse e non diede più notizie di sé. La sera successiva l’auto venne ritrovata a qualche chilometro di distanza, con a bordo piccole vettovaglie che il giornalista aveva acquistato rincasando. L’auto fu ispezionata con cura, il cofano fu aperto dagli artificieri, ma non furono reperiti elementi utili al rintraccio. Furono allestiti posti di blocco e si disposero minuziose ricerche, ma dello scomparso non si seppe più nulla.Il suo corpo non è mai stato ritrovato.

Le indagini e le piste

Dopo il sequestro, un commercialista di Palermo, Antonino Buttafuoco detto “Nino”, entrò nella vicenda con un ruolo che non è mai stato pienamente chiarito, ma che comunque limpido non è mai parso, e per questa sua intromissione nel caso il professionista è stato al centro di indagini e procedimenti. Conosceva direttamente De Mauro e dopo la sua sparizione ne contattò la famiglia e per circa un paio di settimane seguì da vicino l’evoluzione del caso, in attesa di eventuali sviluppi.

Dopo circa una ventina di giorni fu destinatario di un ordine di cattura che fu commentato dal pubblico ministero che l’aveva emesso con le parole «in questa vicenda c’è dentro fino al collo»; dopo un paio di mesi però il commercialista sarebbe stato scarcerato per mancanza di indizi. All’arresto si era giunti a causa di indizi che volevano il commercialista legato all’avvocato Vito Guarrasi (già in rapporti con Enrico Mattei e non solo), di cui si è ipotizzato un ruolo di “gestione” del caso De Mauro malgrado, secondo il pentito Gaetano Grado fosse «amico di De Mauro e Mauro De Mauro si confidava con lui». A Buttafuoco fu anche attribuita la paternità di un nastro registrato che fu fatto pervenire al giornale “L’Ora”, nel quale si affermava che De Mauro era vivo.

Le indagini sulla sparizione del giornalista furono seguite sia dai carabinieri, secondo i quali sarebbe stato eliminato dalla mafia in seguito ad indagini sul traffico di droga, sia dalla polizia, che ritenne piuttosto che la sua sparizione fosse collegata alle sue ricerche sul caso Mattei (l’aereo caduto era decollato da Catania il 27 ottobre 1962), anche in seguito, il giorno stesso del suo rapimento, alla sparizione dal cassetto del suo ufficio di alcune pagine di appunti e di un nastro registrato con l’ultimo discorso tenuto da Mattei a Gagliano Castelferrato. Principale investigatore per l’Arma fu Carlo Alberto Dalla Chiesa, per la polizia Boris Giuliano; anni dopo entrambi caddero, in circostanze diverse, per mano della mafia.

Si trovarono invece, nel cassetto della sua scrivania al giornale, degli appunti di De Mauro nei quali il giornalista citava i nomi di Eugenio Cefis (successore di Mattei all’ENI), di Guarrasi, di altri dirigenti dell’ENI e di alcuni esponenti politici siciliani; secondo il De Sanctis, che ne scrisse nel 1972, questi appunti sarebbero rimasti in qualche modo nell’ombra per qualche tempo. Nel cassetto fu rinvenuto anche un taccuino in cui era scritto: “Colpo di Stato! Colpo di Stato continuato – uomini anche mediocri ma di rottura – La guerra è un anacronismo“, in presumibile riferimento al golpe Borghese.

Una conferma della sua uccisione venne negli anni seguenti dal resoconto di alcuni pentiti di mafia (Tommaso Buscetta, Nino Calderone, Francesco Di Carlo), secondo i quali a prelevarlo per poi strangolarlo sarebbero stati Mimmo Teresi, Emanuele D’Agostino e Stefano Giaconia, e con loro ci sarebbe stato anche Bernardo Provenzano. Secondo, in particolare, le dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo, non ci sarebbe stato un vero e proprio rapimento, ma De Mauro avrebbe seguito sua sponte i tre mafiosi, che non molto dopo lo avrebbero ucciso in una località controllata da Stefano Bontate perché sarebbe venuto a conoscenza del fatto che il principe Junio Valerio Borghese stava pianificando un colpo di stato, il cosiddetto Golpe Borghese.

Per Tommaso Buscetta il ruolo di Bontate sarebbe stato, di fatto, il principale:

«De Mauro stava indagando sulla morte di Mattei e aveva ottime fonti all’interno di Cosa Nostra. Stefano Bontade venne a sapere che De Mauro si stava avvicinando troppo alla verità e di conseguenza al ruolo che egli stesso aveva svolto nell’attentato, e organizzò il “prevelamento” del giornalista in via delle Magnolie».

L’ipotesi di un movente legato all’eliminazione del presidente dell’ENI era quella seguita dalla questura, e più volte si sono incrociate le strade giudiziarie dei processi che hanno riguardato il caso Mattei ed il caso De Mauro; è da quest’ultimo che si ricava l’informazione che il questore Ferdinando Li Donni aveva ordinato alla Digos di indagare su Guarrasi e sul presidente dell’Ente Minerario Siciliano Graziano Verzotto. Verzotto era stato incontrato da De Mauro due giorni prima della scomparsa. Secondo Giuseppe Lo Bianco, autore con Sandra Rizza di un libro in cui lega il caso De Mauro ai casi di Mattei e Pier Paolo Pasolini, il presidente dell’EMS avrebbe indicato in Cefis un possibile mandante dell’omicidio di Mattei; e Verzotto, suggerisce Lo Bianco, poteva essere ben informato, essendo fra l’altro finanziatore di agenzie di stampa che avevano pubblicato il libro Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, di Giorgio Steimetz, cui aveva attinto Pasolini per il suo Petrolio.

La figura di Guarrasi, che occhieggia qua e là nella vicenda e da più parti viene di tanto in tanto richiamata, è stata pesantemente accostata all’ipotetico personaggio detto “Signor X”, il cui ruolo sarebbe piuttosto legato alla strategia per l’eliminazione di Mattei e forse anche di De Mauro. Un elemento che consentirebbe secondo Giorgio Galli di identificare il Signor X per Vito Guarrasi consisterebbe in un nastro magnetico sul quale era stato registrato un incontro fra l’avvocato e due investigatori della polizia, il dirigente della Squadra Mobile Nino Mendolia e Bruno Contrada (allora capo della sezione investigativa della stessa Mobile, poi assurto a maggior notorietà per altre vicende); l’incontro avrebbe avuto luogo il 12 ottobre 1970, una settimana prima dell’arresto di Buttafuoco, ed il nastro recava sul suo involucro la dicitura “conversazione tra Mendolia e X”.

Un altro nastro magnetico assume rilievo nella vicenda: si tratta di un nastro che lo stesso giornalista si era procurato e che avrebbe contenuto registrazioni di alcune fasi della manifestazione cui Enrico Mattei aveva partecipato a Gagliano il giorno prima della sua morte. Seecondo i familiari, il giornalista riascoltava quel nastro, datogli da un gaglianese, con metodicità quasi ossessiva, ripetutamente fermandolo per riascoltarne alcuni passaggi. Il nastro non è più stato ritrovato. Ma De Mauro ne aveva trascritto brani e preso appunti, ed uno degli appunti recitava «Primo tempo arrivo ore 15, poi ultimo momento anticipato ore 10 perché notizia Tremelloni»: il riferimento era ad un appuntamento imprevisto fra Mattei ed il ministro Roberto Tremelloni, e l’importanza del dato consiste nel fatto – di comune accezione presso gli inquirenti – che solo potendo conoscere in anticipo gli spostamenti del presidente dell’ENI (che non faceva mai sapere in anticipo cose del genere) si sarebbe potuto sabotargli l’aereo. Dunque a Gagliano si sapeva di Tremelloni, si sapeva che questo appuntamento aveva costretto Mattei a programmare il volo per il pomeriggio, e così a Gagliano si poteva già desumere che si sarebbe potuto “agire” sull’aereo. A queste conclusioni, secondo diversi analisti, poteva essere pervenuto De Mauro lavorando al film di Rosi, ricavando per deduzione quelle informazioni che, come ebbe a confidare a colleghi, avrebbero fatto “tremare l’Italia”.

In relazione al fatto che il golpe Borghese già nel 1971 fosse stato reso di pubblica nozione dal ministro dell’interno Franco Restivo (amico di famiglia dei De Mauro), e che avessero preso subito a circolare voci di un collegamento fra il rapimento del giornalista e l’iniziativa del principe, Galli comunque sottolineò che la procura di Pavia, nelle indagini sull’incidente di Bascapè, mettesse in risalto come il caso De Mauro potesse risultare più opportunamente collegato al golpe Borghese che non al caso Mattei: nel contesto di manovre politiche di rilievo, con campagne politiche in corso per il Quirinale, il caso Mattei era innominabile, mentre il golpe Borghese non recava imbarazzo politico ad alcuno dei contendenti. E lo stesso autore, ricordando che De Mauro aveva investigato sulle ragioni della mancata partenza sull’aereo di Mattei, all’ultimo momento, del presidente della Regione siciliana, Giuseppe D’Angelo, “era un giornalista troppo professionale per accogliere notizie nelle bische della mafia”.

Più volte si è tentato di trovare il luogo dove si presumeva fosse stato nascosto il corpo di De Mauro, ma nessuna di queste ricerche ha dato esito positivo.

Nuove indagini

Nell’aprile del 2006 è iniziato il processo per la sua morte, che vede, per ora, come unico imputato Totò Riina.

Il 20 settembre 2007 a Conflenti, in Calabria, viene riesumata una salma – la cui sepoltura risale al 1971 – che si pensava potesse essere quella di De Mauro. Ma nel marzo 2008 l’esame del DNA ha smentito l’ipotesi.

Secondo le affermazioni del pentito Francesco Marino Mannoia il corpo di De Mauro sarebbe stato sciolto nell’acido.

Nel 2001 il boss pentito Francesco Di Carlo rese testimonianza ai magistrati di Palermo sulle ultime ore di De Mauro. Nel verbale si legge che

« … Quel rompicoglioni di De Mauro aveva ficcato il naso negli affari dei Salvo e nel legame con i fascisti di Borghese. Il 9 agosto (1970) Vito Guarrasi, che morì del tutto impunito due anni or sono (nel 1999), dopo aver parlato a Roma col principe Junio Valerio Borghese, coi generali del SID Vito Miceli e Gianadelio Maletti. Al ritorno, in una riunione tenuta a casa del boss Giacomo Gambino, assieme ai capimafia Bernardo Provenzano, Pippo Calderone, Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti, Totò Riina, Stefano Bontade e Beppe Di Cristina, decisero per la sua eliminazione. »

Processo sulla sua morte

L’unico imputato del processo è il detenuto Totò Riina. Il 22 ottobre 2010 al processo per la sua morte, Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, depone e fa mettere a verbale sia sue dichiarazioni, che un memoriale dattiloscritto del padre Vito, assieme ad altri documenti riguardanti la strage di piazza Fontana e il golpe Borghese.

Ciancimino jr. sostiene di avere appreso dal padre che De Mauro sarebbe stato ucciso su “input istituzionali”, di apparati dello Stato. Sempre secondo lui, il padre gli avrebbe raccontato che il magistrato Pietro Scaglione sarebbe stato ucciso perché aveva preso in mano l’indagine sull’omicidio De Mauro e che “De Mauro aveva fatto inchieste su situazioni molto più grandi di lui”.

Il 22 aprile 2011, nella requisitoria, viene chiesto l’ergastolo per Riina, oltre all’isolamento diurno per tre anni. In data 10 giugno 2011 Totò Riina viene assolto, per “incompletezza della prova” (ex art. 530 c.p.p.), dalla Corte d’Assise di Palermo per l’omicidio De Mauro.

Fonte: Wikipedia