14 settembre 1988

Alberto Giacomelli (Trapani, 28 settembre 1919 – Trapani, 14 settembre 1988) è stato un magistrato italiano, assassinato dalla criminalità organizzata.

Nel 1946 entrò in Magistratura, destinato alla Procura di Trapani. Dal 1951 al 1953 fu Pretore di Calatafimi, e a Trapani dal 1953 al 1954. Dal 1971 giudice presso il Tribunale di Trapani, fu dal 1978 Presidente di Sezione dello stesso Tribunale, fin quando andò in pensione il 1º maggio 1987.

L’omicidio

Un anno dopo, i Carabinieri di Trapani, alle 8 del mattino del 14 settembre 1988 a Locogrande (contrada nelle vicinanze di Trapani) ne rinvenivano il cadavere dietro l’autovettura di proprietà dell’ex-magistrato. Presentava un colpo di arma da fuoco alla testa ed un altro all’addome. Le indagini evidenziavano che il delitto era stato organizzato e compiuto da componenti della criminalità organizzata locale.

Il processo

Un primo processo celebrato innanzi la Corte d’Assise di Trapani portò alla momentanea condanna di alcuni soggetti ritenuti gli esecutori dell’eccidio. Detti soggetti furono poi assolti in grado d’appello. Negli anni successivi, complici le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, si giunse alla condanna di Totò Riina, considerato mandante dell’omicidio. Nel 1985 Giacomelli, aveva firmato il provvedimento di sequestro di beni a Gaetano Riina, fratello del boss.

Nelle motivazioni i Giudici d’Assise ripercorrono il momento storico in cui fu commesso il delitto. Emerse, così, che la mafia aveva deciso di colpire, per la prima volta in assoluto, un Magistrato giudicante, uno qualsiasi.

Si decise di uccidere Giacomelli perché, nella sua qualità di Presidente della sezione per le misure di prevenzione del locale Tribunale, confiscò l’abitazione del fratello del capo di Cosa Nostra, non consentendogli più di utilizzarla. Qualche giorno dopo la mafia decise di colpire un altro Magistrato giudicante operante nel distretto di Corte d’Appello di Palermo: Antonino Saetta.

Quello di Alberto Giacomelli resta l’unico caso di omicidio di un Magistrato in pensione nella storia d’Italia.

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14 settembre 1945

Già nell’immediato dopoguerra, a Favara, caddero i carabinieri Calogero Cicero e Fedele De Francisca.

Bande di ladri e assassini, armati di lupare e pistole, seminavano il terrore nelle campagne e nei paesi dell’Agrigentino. La notte del 14 settembre 1945 un gruppo di banditi di Palma di Montechiaro prese di mira la fattoria dei fratelli Buggera di Favara, per rubargli i proventi della vendita dell’uva. I banditi si appartarono in una zona soprastante la fattoria, senza sapere che da qualche tempo era sorvegliata da un nucleo di carabinieri.

Un bandito fu messo di guardia sulla sommità della collina, l’appuntato Cicero e il carabiniere De Francisca lo sorpresero appostato dietro a una grossa pietra: si aprì un conflitto a fuoco. Arrivò il resto della banda che cominciò a sparare all’impazzata: Cicero fu colpito al fianco e alla coscia sinistra; De Francisca, seppur ferito, affrontò i banditi, ma venne ucciso da due colpi di fucile.

Le indagini si rivelarono inutili, tutti i fermati furono rilasciati perché gli inquirenti non trovarono prove a loro carico.

Ai funerali dei due militari parteciparono migliaia di persone sentitamente commosse per il sacrificio di quei due giovani servitori dello Stato.

Calogero Cicero era nato a Cerda, il 26 marzo del 1905, e solo da quattro mesi si era trasferito a Favara.

Fedele De Francisca era nato a Villarosa l’1 febbraio del 1911, viveva a Favara dalla fine del 1943.